Garavini (Pd), “avrei preferito presidente donna”. Di Biagio (Ap), “Clinton candidata debole”. Fedi, “tempesta in arrivo?”. Pessina (Fi), “spero migliori rapporto con la Russia”. Sangregorio (USEI), “felice per trionfo Trump: politica tradizionale è morta”
Il dado è tratto. Donald Trump è ufficialmente il 45esimo presidente degli Stati Uniti. La struttura federale del Paese, il cui sistema elettorale ha carattere maggioritario – eccezion fatta per il Nebraska e il Maine – ci ha permesso di risalire al nome del vincitore a poche ore dall’Election day. L’8 novembre, i cittadini americani hanno scelto e votato non direttamente Trump, bensì i cosiddetti “grandi elettori”, coloro che il lunedì dopo il secondo martedì di dicembre – a conti fatti il 19 dicembre – si esprimeranno per eleggere il presidente.
I grandi elettori, 538 per l’esattezza (100 senatori, 435 deputati e 3 membri della District of Columbia), rappresentano il Collegio americano e seppur liberi di votare chi più preferiscono, sono di norma funzionari di partito, dunque è chiaro che esprimeranno la loro preferenza per il candidato appartenente al proprio schieramento. Nel corso della lunga notte americana, i conti hanno disorientato i sondaggisti e ribaltato – a sorpresa – le previsioni iniziali.
La Casa Bianca è di Trump. La chiave di lettura per capire come questo sia potuto accadere sta nel “winner takes all”, la regola in base alla quale chi vince in uno Stato si prende tutti i suoi elettori.
Decisivi i voti dell’Ohio e della Florida, tra gli stati più popolosi d’America, che hanno regalato al repubblicano un totale di 47 grandi elettori. Per diventare presidente ne occorrono 270. Trump ha raggiunto la soglia fissata per poi “sforare” di 9 e distanziare così in maniera irreversibile la candidata democratica, Hillary Clinton.
All’indomani del voto, ItaliaChiamaItalia ha raccolto l’opinione degli eletti all’estero, di chi nel Parlamento italiano rappresenta gli italiani nel mondo, per commentare insieme il risultato e registrarne i sentimenti prevalenti.
“Personalmente mi sarei augurata che venisse eletta una presidente donna – rivela l’On. Laura Garavini, Pd – avevo sperato che i tempi fossero maturi e trovo che questa rappresenti un’occasione persa non soltanto per gli Stati Uniti ma per il mondo intero. Mi preoccupa il fatto che non sia un “voto per” ma che sia piuttosto un “voto contro”, un voto contro chi rappresenta la vecchia politica, un voto contro l’establishment, un voto contro lo stesso partito di Trump, un voto contro gli stranieri, contro le minoranze. Nonostante gli scandali, i fallimenti, le tante brutte dichiarazioni di Trump in campagna elettorale, Trump ha vinto. Ora mi auguro che prevalga il senso di responsabilità. Ho ascoltato le parole degli sconfitti, da un lato quelle della Clinton, dall’altro quelle di Obama. Entrambi hanno richiamato il paese all’unità. Mi auguro che ora lo stesso Trump da non più candidato ma da presidente acquisti un senso di responsabilità e di moderazione che è necessario per il Paese”.
Poco stupore per il senatore Aldo Di Biagio, Area Popolare: “La vittoria di Trump era una vittoria plausibile, considerando gli ultimi sondaggi che lo davano testa a testa con la Clinton. Pur sentendomi repubblicano nei principi e nei valori, se fossi stato un cittadino americano, non avrei votato Trump. Ciò detto, l’America è un grande paese. Avrei votato Hillary con la consapevolezza di non avere altra scelta, evidentemente. In ogni caso si è dimostrata una candidata debole”.
Sorpresa abbastanza relativa anche per il senatore Vittorio Pessina, responsabile nazionale del dipartimento italiani all’estero di Forza Italia: “Immaginavo che questo potesse succedere. Cosa accadrà domani? Non ne ho la più pallida idea. Il personaggio è quello che abbiamo conosciuto nel corso di questa lunga campagna elettorale, molto brutta e a tratti anche molto cattiva. In base a quanto dimostrato in questa campagna elettorale, non posso che aspettarmi da Trump dei segnali negativi, ma la Clinton era un personaggio politico troppo compresso, troppo contestato e troppo contestabile e chiaramente questo aspetto ha avvantaggiato non di poco l’ascesa di questo personaggio così discutibile. Mi auguro che un barlume di luce arrivi dalla politica estera. Spero che da questo risultato elettorale possa derivarne un miglioramento del nostro rapporto con la Russia”.
“Non ho mai nutrito un’eccessiva passione per le presidenziali americane e i presidenti USA non mi hanno mai eccitato molto, eccezion fatta per Obama – ci dice l’On. Marco Fedi, Pd, residente in Australia – ho seguito le elezioni ma con il dovuto distacco. Avrei preferito la Rodham-Clinton perché più preparata dal punto di vista politico e più attenta ai temi etici, morali e sociali. Ma l’America ha parlato. Trump è presidente ed è con lui che tutti dovranno lavorare”.
Da queste dichiarazioni, arriva unanime – seppur talvolta con riserva – la preferenza da parte degli intervistati per Hillary. Ma “The Donald” oggi è a tutti gli effetti l’uomo destinato a diventare a breve il più potente del pianeta. O quanto meno il più influente. Il suo ruolo lo colloca alla guida del paese con l’apparato militare più costoso al mondo, lo stesso a “vantare” il più grande arsenale nucleare. Trump sarà al vertice della più grande economia del mondo, quella con il PIL più elevato (reale e nominale) e diventerà capo del potere esecutivo, un potere che gli consentirà di dare materiale esecuzione alle leggi federali e di firmare (previo parere consultivo ed assenso del Senato) i prossimi trattati internazionali.
Le preoccupazioni relative alla vittoria di Trump non sono poche, ricorda Garavini. “Certamente sono preoccupata che il nuovo Presidente non dia attuazione ai passi avanti che si erano riusciti a raggiungere in tema di tutela ambientale o di politica energetica. Temi di grande importanza anche al livello internazionale. Temo possa essere messo in discussione l’accordo sul nucleare stilato con l’Iran e, in riferimento agli Stati Uniti, che si rimetta in discussione la grande conquista – sebbene ancora parziale – relativa all’ampliamento delle misure sanitarie nei riguardi degli americani indigenti. Credo – prosegue la deputata dem – che il risultato elettorale degli Stati Uniti ci trasferisca un’importante lezione: è necessario individuare candidati che parlino il linguaggio della gente, che siano in empatia con la gente, che sappiano ascoltarla e che siano in grado di parlare il loro linguaggio”.
“Con Trump assisteremo a un diverso modus operandi da parte degli Stati Uniti che si tradurrà in un approccio più attento alla realtà interna che a quella esterna. Noi europei siamo chiamati ad accettare questo tipo di sfida – commenta ancora Di Biagio – certamente, in politica estera, ci troveremo ad affrontare momenti anche complessi e questo ci richiederà di investire al meglio tutte le nostre energie”.
Tanta la speranza riposta nella designazione del nuovo staff e non mancano i riferimenti al passato: “La storia americana ha avuto presidenti come Ronald Reagan – ci ricorda Pessina – che, seppur nella perplessità iniziale, si è poi rivelato un ottimo presidente. Attendiamo di conoscere chi sono i personaggi che lui sceglierà come supporto alla sua presidenza, dopodichè potremmo cominciare a intravedere come potranno andare le cose. L’America ci ha sempre riservato delle sorprese di questo tipo. Non ci resta che sperare che il team che lui andrà a scegliere sia un team preparato, ragionante e che metta in atto politiche condivisibili per il resto del mondo”.
Anche per Fedi, importante non sopravvalutare i suoi poteri e attendere che sia il tempo a dare risposte. “Il Congresso dalla sua parte può alla fine essere utile per evitare che la demagogia e il qualunquismo della campagna elettorale guidino il Governo. In sostanza vedremo qualche scontro anche internamente ai Repubblicani. Per il resto del mondo il “sole sorge ancora” ma con qualche nube in più che solo i futuri passi concreti della nuova Presidenza potranno dissipare o trasformare in tempesta”.
ItaliaChiamaItalia ha voluto sentire anche l’opinione di Eugenio Sangregorio, presidente USEI – Unione Sudamericana Emigrati Italiani, partito che esprime una deputata alla Camera, l’On. Renata Bueno, eletta in Sud America e residente in Brasile. Sangregorio, che vive e lavora in Argentina ma si trova in questi giorni in Italia per incontri politici e istituzionali, a Italiachiamaitalia.it dichiara: “Trump vince perché l’America ha capito che c’è bisogno di un uomo forte al comando, con idee e visione da imprenditore. La vecchia politica è stata messa da parte, i tempi sono cambiati. Trump ha annunciato la riduzione delle tasse alle imprese, poi ha puntato a far crescere la classe media. Bisogna dare possibilità ai giovani per creare imprese e posti di lavoro. E’ lì il segreto. Personalmente – conclude Sangregorio – sono contento per il trionfo ottenuto da Trump. Ormai il mondo sta girando a destra – conclude – e servono uomini nuovi con idee chiare per crescere e poter garantire maggiore benessere ai cittadini. Trump ci riuscirà”.
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