Trovare le parole per descrivere la situazione del Venezuela non è facile.
Da ormai tanti anni è un fuoco, con una dittatura dichiarata, un presidente poco ortodosso, uno stato inesistente, una giustizia controllata, un esercito ancora sotto il controllo dell’esecutivo ed una situazione sociale disastrosa. In un paese dove è difficile trovare carta igienica o qualcosa da mangiare. Il delitto è pane quotidiano, furti, omicidi, repressione sanguinosa, ecc. ecc.
La comunità italiana che abita in Venezuela è numerosa ed ha caratteristiche molto particolari. A differenza della maggior parte dei paesi sudamericani, gli italiani che vivono lì hanno un senso di appartenenza molto più vincolante perché il flusso di maggior dimensione è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. Italiani nati in Italia ce ne sono tanti, così come figli e nipoti. Come accade ovunque, gli italiani lasciano impronte indelebili, anche in Venezuela hanno costruito un tessuto produttivo eccezionale. Grandi imprenditori, professionisti, scienziati e artisti: il lavoro e l’estro italiani sono all’avanguardia. Come in tutte le società, i nostri connazionali hanno avuto una grande capacità di non costruire ghetti ma integrazione. Il Venezuela, da decenni, è un paese che basa la sua economia sul petrolio. Sono tanto grandi le risorse naturali come oro nero e gas naturale, che i governi di turno hanno avuto grandi somme a disposizione, spronando una mancanza di coscienza di lavoro ed aumentando l’incapacità sociale per sostenersi in base al sacrificio.
Non poteva che essere nociva la nascita di un governo “populista” in Venezuela: con il controllo dell’esercito, della Giustizia, molto denaro a disposizione per piani sociali di assistenza e politiche assistenzialistiche estreme, prima Chavez, poi Maduro, hanno costruito una specie di Emirato nel cuore del Sudamerica, dove il potere dell’esecutivo, assicurato da una riforma costituzionale e l’eternizzazione presidenziale, hanno fatto il resto.
Questo ha provocato e continua a provocare con maggior peso politico e sociale, una grossa fetta della popolazione abituata a non lavorare ed essere mantenuta dallo Stato. Ma gli italiani hanno un altro DNA e non sono conformisti: hanno sempre lavorato per dare un miglior futuro alla propria discendenza, coscienti che, come la famiglia, il lavoro è alla base di qualsiasi società.
Le politiche diplomatiche esterne, soltanto oggi, con la fermezza di una Segreteria dell’OEA e gli stessi terribili errori dell’esecutivo venezuelano, hanno cominciato ad avere peso. In ogni caso, gli italiani che vivono in Venezuela, studiano, lavorano e operano con le stesse armi di ogni cittadino venezuelano.
Con un’inflazione stratosferica, cambio-moneta in nero, mancanza di beni di prima necessità e mancanza di autorità, in Venezuela la vita è difficile. Negli ultimi 20 anni sempre di più e, purtroppo, le vittime di questa situazione sono anche italiane. Sono stati sequestrati ed uccisi centinaia di italiani, bisogna circolare con auto blindata e guardie del corpo, ma, soltanto pochissimi se lo possono permettere.
Gli sforzi di organismi ufficiali come il CGIE sono stati in vano, così come le buone iniziative di alcuni parlamentari della circoscrizione America Latina. Bisogna continuare a lavorare per evitare una maggiore pressione della dittatura nei confronti della popolazione, cercare di aiutare con diplomazia e coerenza, attraverso gli organismi internazionali. L’USEI ha sempre lavorato dietro le quinte del Parlamento italiano per aumentare gli aiuti e le strategie vincenti, cercando di minimizzare le durissime conseguenze che si riflettono in una miseria crescente ed una mancanza di garanzie personali. Noi dell’USEI stiamo ancora lavorando, assieme a parlamentari di altri partiti coscienti della gravità della situazione.
Lo facciamo in silenzio, con le poche armi che abbiamo in mano: la coerenza, la diplomazia, la cooperazione, la collaborazione, ma, soprattutto, la comprensione. L’SOS esiste da molto tempo, risultati ce ne sono stati pochi.
Bisogna continuare sulla strada della protesta ma anche sulla strada della discrezione.
EUGENIO SANGREGORIO